Giovanni Battista Pallotta fu il secondo esponente della famiglia Pallotta ad ottenere la nomina a cardinale. Sono in totale quattro i porporati Pallotta: dopo Evangelista e Giovanni Battista saranno nominati Guglielmo (1727-1795, cardinale dal 1777) e Antonio (1770-1834, vescovo di Ferrara e cardinale dal 1823).
Nato a Caldarola nel 1594, Giovanni Battista era figlio di Martino, il quale era fratello del cardinale Evangelista, mecenate di Simone de Magistris e fautore di quel rinnovamento architettonico ed urbanistico di Caldarola che caratterizza a tutt’oggi il centro storico della cittadina. Evangelista fece suo il pragmatismo di papa Sisto V (che gli conferì la porpora nel 1578, tre mesi dopo la nomina ad arcivescovo di Cosenza), creando contenitori straordinari affrescati, pronti per le collezioni del nipote (notevole la “stanza del paradiso” del Palazzo di Piazza, ora denominato Palazzo dei Cardinali, stanza in cui Evangelista si ritirava a meditare).
Evangelista favorì i primi passi del nipote presso la curia pontificia, gli studi nell’università di Perugia ed un rapido cursus honorum, che portò Giovanni Battista ad essere cardinale nel 1629, a soli 35 anni. Urbano VIII lo inviò nel 1631 come legato pontificio a Ferrara, da poco devoluta allo Stato della Chiesa ed entrata in un buio nebbioso dopo una irripetibile stagione rinascimentale. A Caldarola fece erigere un altare nella chiesa di San Gregorio; morì nel 1668 ed è sepolto a Caldarola.
Dopo la sua morte venne redatto un inventario dei beni conservati nel suo palazzo romano, punto di partenza, assieme al testamento, di una ricerca archivistica per identificare i dipinti a lui appartenuti e ora dispersi. La collezione, ora parzialmente ricostituita anche grazie all'inventario del 1647 per i dipinti conservati a Caldarola, dimostra la sua partecipazione diretta alle vicende del collezionismo romano sotto il pontificato di papa Barberini.
In mostra ci sono artisti con cui Giovanni Battista Pallotta ha avuto rapporti di committenza diretta, dai quali cioè non ha comperato opere già pronte. Sono spesso opere di vasta superficie con molti personaggi e quindi molto costosi (in genere i pittori si facevano pagare un tot a figura). Ma soprattutto sono interessanti i temi, talvolta a carattere sacro (sia veterotestamentario che neotestamentario) ma più spesso a carattere letterario, sempre comunque riconducibili alla tendenza ad esaltare la clemenza del governante, qual era il Pallotta (a Ferrara si registrò una diminuzione delle condanne a morte negli anni di suo governo).
Accanto alle opere riconosciute con certezza come appartenenti alla collezione del cardinale, sono esposte altre opere non certe, ma dello stesso soggetto e dello stesso autore indicati nell’inventario, in modo da ricostruire il gusto del cardinale, diverso da quello di moda nella Roma dell’epoca dettato dai Barberini (sia il papa che i cardinali nepoti). Il Pallotta infatti segue una sua personale geografia artistica ed è autonomo nelle scelte, soprattutto dei temi. Dominanti, come si diceva, le storie di magnanimità e giustizia. “In mostra, oltre a quelle dichiaratamente Pallotta, si è scelto di esporre opere la cui iconografia è menzionata nei documenti e anche se il nome del pittore non è spesso esplicito si è preferito rimanere nella stretta cerchia di artisti la cui identità è riferita dagli inventari (...). Quando in alcuni casi si conosce l'identità del pittore ma non l'opera menzionata si è scelto un quadro rappresentativo dell'autore” (Antonio D'Amico in catalogo). Insomma una mostra che offre certezze e suggestioni (incolpevoli, ha sottolineato Sgarbi).
Si comincia con Guido Reni, un San Sebastiano, una Santa Caterina e l'Ecce Homo. Le motivazioni della fascinazione che Reni esercitava su Giambattista Pallotta vanno ricercate nella lunga frequentazione emiliana del cardinale e nel rapporto tra il pittore e l’ambiente artistico romano, a cui il cardinale faceva comunque riferimento.
Nell’inventario citato figura una “Maddalena di Caravaggio”, pittore con cui i Pallotta avevano intrattenuto rapporti sin dai tempi del cardinale Evangelista. Nell’impossibilità di rintracciare il dipinto a cui fa riferimento l’inventario, è esposta la Maddalena penitente della Galleria Doria Pamphilj. Una Maddalena che invero, secondo Sgarbi, è una povera ragazza travestita da Maddalena (il vestito della festa, i gioielli, l'improvvisa notorietà: per questo Sgarbi l’ha paragonata a Noemi Letizia), che si addormenta seduta su una bassa seggiola e il pittore le ruba il sonno, dipingendo un momento di indicibile poesia. Con un bell’effetto di allestimento, la Maddalena è in fondo a un “cannocchiale” creato dall’infilata delle porte e dalla teoria delle stanze, come la più bella e la più desiderata delle immagini.
Arrivato a Ferrara nel 1631, Giovanni Battista Pallotta si informò su chi fosse il maggior pittore locale e gli indicarono Guercino, maestro di Cento, del quale arrivò a possedere molte opere, commissionate in un decennio. Nel 1632 è documentato un pagamento dal Pallotta al Barbieri, un altro nel 1638 per la Cacciata dei mercanti dal tempio (dove Cristo utilizza lo scudiscio che è nello stemma della famiglia Pallotta) e in mezzo uno per Damone e Pizia (dal De Officiis di Cicerone: si narra un episodio di clemenza verso un condannato a morte): l’opera, di proprietà della Coldiretti a Palazzo Rospigliosi (in quanto fu donata a Clemente IX Rospigliosi), era ritenuta una copia ed ora si sa con certezza che è l'originale (non ancora esposta, arriverà prossimamente a Caldarola).
Secondo l'inventario erano nella collezione del cardinale Pallotta anche un Catone uticense, Giaele e Sisara, Loth e le figlie, le Sibille, Susanna e i vecchioni, tutti soggetti qui esposti. Nel percorso della mostra anche il Ritratto di giurista (con libreria) che Sgarbi ha comperato quando il proprietario l’ha venduto in polemica con il museo di Fort Worth in cui il capolavoro era esposto.
Mattia Preti, conosciuto come il “Cavalier calabrese”, rinnova il legame dei Pallotta con Cosenza, di cui Evangelista era stato vescovo. Olindo e Sofronia (tema tassesco) cercano di rovesciare su se stessi la colpa dell’altro e per questo Clorinda chiede per loro la grazia (ancora il motivo della clemenza). Perciò Sgarbi afferma che “Pallotta è lo Sciascia del suo tempo”, attento ai temi di vita civile. Di Mattia Preti figuravano nella collezione Pallotta, e sono in mostra, oltre a “Clorinda fa graziare Olindo e Sofronia dal rogo” (icona della mostra), anche la Resurrezione di Lazzaro, la Vedova di Zebedeo e la Sepoltura di Sant'Andrea.
Completano il percorso Garofalo (Sacra Conversazione e Madonna con Bambino), Sassoferrato (Vergine in preghiera), Domenichino (un commovente Angelo custode), Simone Cantarini (quattro splendidi santi elgrechiani), Elisabetta Sirani (due Allegorie), Giovanni Lanfranco (Eterno Padre) ed altri.
Interessante il ritratto del Pallotta, esposto lungo il percorso come se il cardinale attendesse gli ospiti nelle sue stanze segrete, un ritratto particolarmente brutto ed effettuato da un pittore anonimo poco bravo, stranamente, considerate le frequentazioni del committente, uomo di profonda cultura che ha indotto i pittori a fare cose che altrimenti non avrebbero fatto.
Il catalogo presenta tutte le opere con schede e, quel che più conta, coi riferimenti agli inventari dei beni di Giovanni Battista Pallotta, curati da Antonio D'Amico, che forniscono la motivazione del legame fra l'opera esposta e la figura del cardinale. I saggi fanno riferimento al paesaggio di Caldarola (Francesco Scoppola), alla Caldarola nel Seicento (Rossano Cicconi), alle tracce seguite per ricostituire la collezione (Antonio D'Amico) ed al collezionismo nel Seicento da parte dei cardinali marchigiani (Stefano Papetti). Interessante ed inedita la sezione documentaria (D'Amico).
Caldarola, Palazzo dei Cardinali Pallotta, fino al 12 novembre 2009, aperta lunedì dalle 15 alle 19*, da martedì a venerdì dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 19*, sabato, domenica e festivi dalle 10 alle 19 (dal 14 settembre chiusura anticipata da lunedì a venerdì alle 18,30), ingresso euro 7,00 (la somma di euro 0,50 a biglietto viene devoluta al restauro di un’opera d’arte danneggiata dal terremoto dell’Aquila), catalogo Silvana Editoriale, infoline 0733.903707 – 800.255525, sito internet www.lestanzedelcardinale.it
FRANCESCO RAPACCIONI
Teatro